I tempi dell’emergenza

Imago propone a chi voglia partecipare, di realizzare un piccolo reportage per documentare questo periodo di emergenza in cui siamo stati costretti a stravolgere le nostre vite. I più sono costretti a casa e nelle poche uscite trovano un mondo profondamente diverso da poche settimane fa. Attraverso la fotografia possiamo documentare come è cambiata la nostra vita o le trasformazioni che notiamo nella nostra città o quartiere.
L’idea è quella di realizzare 6 fotografie a testa a cui, chi vuole, può allegare una parte scritta con dei pensieri o riflessioni sul periodo che stiamo vivendo. Se abbiamo anche amici che non sono a Pisa, facciamoli partecipi di questa iniziativa.

Le fotografie devono essere mandate tramite WeTransfer all’indirizzo imagopisa@tiscali.it, possono essere anche di grandi dimensioni, penseremo noi a ridurle a una risoluzione adeguata per il web. Ogni file deve essere denominato con nome, cognome e un numero progressivo. Allegate anche un testo con l’indicazione della città o quartiere in cui le foto sono state realizzate, la data e le vostre osservazioni.

Qui sotto le prime gallerie.



Michele Lischi

I tempi dell’emergenza – sei scatti di Michele Lischi
Realizzati a casa a Marina di Pisa con Nikon F2 e pellicola Ilford HP5 Plus sviluppata in Microphen stock (scanner Epson Perfection V600 Photo).

Michele Lischi 1: Ragnatela sotto alla panca della terrazza (con Micro Nikkor e illuminatore anulare). Daniela è uscita in terrazza la mattina e me la ha segnalata. Allora sono corso a fare qualche scatto. Poi sono ripassato di lì più tardi nel corso della giornata. E la ragnatela non c’era più.


Michele Lischi 2: Gocce di guazza sul tavolo della terrazza (con Micro Nikkor e illuminatore anulare). Innumerevoli anni fa fotografai sullo stesso tavolo delle gocce di guazza che si erano depositate sul telo di plastica trasparente con cui avevo protetto un grande manifesto del film Apocalypse now. Gli era piaciuta anche a Cippi, quella foto. Innumerevoli anni fa.


Michele Lischi 3: Grigliata di zucchini per il barbecue pasquale. Nonostante tutto, una mangiata colossale (come se non si mangiasse già abbastanza, di questi tempi…).


Michele Lischi 4: Daniela fra le bottiglie. Si bevicchia anche, di questi tempi. E ci si ritrova spesso agganciati ai computer per scambiare due chiacchiere con gli amici, o per vedere cosa raccontano.


Michele Lischi 5: Il sottopentola appeso nel corridoio. Se ne sta lì indifferente. Ci si passa di continuo, lì davanti, quasi senza notarlo. Ma oggi lo ho notato.


Michele Lischi 6: Preparazione della torta allo yogurt. Dopo un tentativo di autoprodurre yogurt autonomamente, e considerato il risultato alquanto liquido, fu deciso di farci una torta. La quale, per la cronaca, venne niente male.

 



Rudy Pessina

Rudy Pessina 1 – Le strade sono nostre


Rudy Pessina 2 – Ponte di San Marco


Rudy Pessina 3 – Operatrice sanitaria


Rudy Pessina 4 – Dal fornaio


Rudy Pessina 5 – Postino e autista al lavoro


Rudy Pessina 6 – Didattica a distanza



Asia Zangone

Nella mia città natale, Tivoli, in cui mi ritrovo bloccata per via dell’emergenza. In assenza di tutti i miei averi materiali. L’unica cosa che ho qui con me è la mia vecchia reflex con cui ho realizzato gli scatti.



Alessandro Longobardo

Foto 1.
Continui contasti. Nessuna voglia di scattare foto in casa, vorrei avere in casa un rullo in bianco e nero da caricare in macchina. Cucino ma non ho fame, mi siedo ma mi sento affamato. Ogni oggetto è visto con occhi diversi: sempre uguale, sempre diverso. Mi sento come un pozzo che riceve tonnellate d’acqua ma ha il fondo bucato.


Foto 2.
Giorni uguali giorni diversi, piccole differenze per riuscire ad assaporarne la diversità. In attesa di un fiore che non sembra voler sbocciare

Foto 3.
Una Nazione

Foto 4.
Basta barriere. non servono a nulla. non fermano nulla.

Foto 5.
Primo giorno di lavoro. Un piazzale assonnato pronto per dei vari che non ci saranno. Ricordi recenti di Barche in acqua, il loro battesimo. Grande festa, grande emozione, tanta tensione. Qualcuno cerca di fare il meglio, molti si mettono in mostra per apparire migliori degli altri, più simpatici, più grintosi, più carichi degli altri. Impeccabili o truccate, leccapiedi o ruffiane. Loro no. Loro sono quelli che fanno la maggior parte del lavoro. Quelli che senza di loro non sarebbe possibile andare avanti. Quasi invisibili ma indispensabili nelle nostre vite.



Laura Meattini

Anche in un momento così difficile e drammatico nel quale le nostre vite sono sospese e le nostre città sono deserte, la vita non si ferma e anima i balconi, i giardini, i cortili.

Sguardi pensosi sulla città sospesa
(Scattata il 14.4.2020 nel centro di Pisa)

Solo ombre nelle piazze deserte
(scattata l’8.3.2020 in Piazza Martiri della Libertà)

Ma si animano i balconi
(scattata il 25.4.2020 a Pisa Porta Fiorentina)

Nei giardini si prende il sole
(scattata il 24.4.2020 a Putignano Pisa)

I bambini studiano di fronte a casa
(scattata il 25.4.2020 a Putignano Pisa)

E nei cortili si organizzano picnic
(scattata il 13.4.2020 a Putignano Pisa)



Martina Romano

FOTO N.1 – 2 – 3
Scattate nell’aereoporto internazionale di Roma Fiumicino durante il rimpatrio dall’Inghilterra in piena emergenza COVID 19. Colpisce come un crocevia di culture e scambi come un aereoporto di questa portata appaia svuotato agli occhi dei pochi viaggiatori presenti in via eccezionale per raggiungere la propria casa. Alcuni, costretti alla permanenza forzata per più di 20 ore in attesa di un volo di collegamento, improvvisano dei giacigli dove riposare (FOTO 1). In una realtà che impone l’uso obbligatorio di una barriera che copre gran parte del volto, gli occhi acquisiscono un’espressività disarmante (FOTO 3) ed è così che a volte sembra che sorridano, abbraccino, incoraggino o come in questo caso semplicemente parlino. E sono proprio gli occhi che costituiscono l’unico contatto umano possibile in una realtà distante come questa.

FOTO N.4 – 5
In una situazione di isolamento forzato in casa iniziamo immedesimarci nella nostra ‘coinquilina’. Siamo finalmente in grado di percepire attraverso i suoi occhi la realtà di un mondo circoscritto.

FOTO N.6
Prospettiva distorta della realtà. Come guardare attraverso una lente gremita da una mano…che però non sempre è la nostra.



Matteo Zaino

Citta: Pisa
Quartiere: Porta a Piagge
Le foto sono tutte fatte in casa, ahimè luogo della mia “clausura”
Il lavoro, la Pasqua, le tradizioni, la primavera e i nostri piccoli amici
Aprile 2020



Michele Banfi



Adele Vacca

Un metro, lievito, zoom, aperitivo, congiunti, pizza, lievito, mascherina, amuchina, distanza, lievito, yoga, guanti, tutorial, bilancia, eroi, le dixiotto, torte, Conte, conti, arcobaleni, quarantena, bella ciao, inps, baffi, corrieri, Covid, farina, capelli, ginnastica, affini, cane, angeli, netflix, vernice, webinar, 19, braciata, bollettino, affetti, effetti, distanze, casa, lievito. 

1: Due mani di vernice 

2: Esauriti

3: Alibi perfetto

4: l martedì 

5: Nuovi scarti

6: Italia oggi 



Maria Carmela Vacca

Prospettive di letture

Tra un po’ tocca a te

Me ne sto lì seduto e assente

Assemblamento e attese

Dentro una bolla

Fuori c’è il sole

 



Enrico Ingle

Immagini scattate a Civitavecchia (RM), più che un reportage vogliono essere il racconto di uno stato d’animo, tra: dentro e fuori – precluso e libero – acceso e spento




Marco Antinucci

La situazione che viviamo verrà ricordata per molto tempo e forse, a lungo termine, ci saprà insegnare anche qualcosa, su di noi e sul mo(n)do in cui viviamo. Come quando ci chiedevamo “e tu dov’eri? cosa facevi l’11 settembre 2001?”, in futuro forse parleremo del nostro vissuto durante il blocco e come lo abbiamo affrontato, cosa ci ha tenuto a galla. Riguardo la mia personale esperienza, mi sento tra i fortunati che possono continuare a lavorare da casa, occupando giorni e continuando a ricevere uno stipendio. Da un lato alcune cose diventano più comode, perdi la fretta di arrivare al luogo di lavoro, dimentichi il ritmo frenetico in metro; dall’altro lato spesso la giornata lavorativa prende il sopravvento sul resto e le ore aumentano, lasciando poco spazio ad altro. Durante questo periodo, purtroppo passato lontano dagli affetti, la fotografia mi ha aiutato, sia durante le fasi di scatto sia guardando il lavoro di altri, immagino sia la reazione di ognuno di noi in questo momento: abbracciare le proprie passioni per continuare a vedere il bello intorno a noi.

Le foto sono state fatte a Barcellona, quartiere Eixample/Sants, tra metà Aprile e inizio Maggio 2020

1. Evasione mentale

2. Casa dolce casa

3. La giornata

4. Finalmente insieme

5. Contenimento dell’allegria

6 L’ora d’aria



Sara Giari

Sara Giari 1: In campagna dai miei genitori, dove sto passando i mesi della quarantena, il segnale di internet non funziona bene: l’unico modo per poter fare una videochiamata senza interruzione per la mancanza di segnale è spostarsi su una collinetta di fronte a casa. In questa foto mia sorella Chiara, in compagnia del cane Zenka, sta facendo una videochiamata ad amici. 


Sara Giari 2: La fortuna di passare la quarantena in campagna è che c’è sempre qualcosa da fare: ad esempio il ripristino del vecchio orto e la realizzazione di uno nuovo per la prossima stagione. Mamma e Chiara, assistite dalle galline sempre alla ricerca di cibo, stanno finendo di seminare le ultime patate. 


Sara Giari 3-4-5: Durante la giornata, i vari componenti della famiglia si tengono occupati in differenti modi (chi studia, chi lavoricchia, chi cucina, ecc..). La sera, dopo cena, ci riuniamo e passiamo del tempo tutti insieme: giochiamo a carte o a dama, guardiamo la tv e ci rilassiamo. Mamma, tutte le sere, fa la cosiddetta “chiamata alle nonne”, per fare un po di compagnia ai nostri parenti più anziani.



Riccardo Romeo

Riccardo Romeo 1 – 22 marzo 2020

Il lockdown era entrato in vigore già da due settimane e le uscite ormai si erano ridotte al soddisfacimento dei cosidetti “servizi essenziali”. Durante una breve passeggiata in una desolata città ho raggiunto da piazza dell’Arcivescovado la vista della Torre di Pisa e là dove in questo periodo, ma ormai di fatto in tutti i mesi dell’anno, la folla dei turisti è scontata non c’era nessuno. Anche le bancarelle erano serrate e i negozi sbarrati.

Riccardo Romeo 2 – 11 aprile 2020

Largo del Parlascio, noto in città come “Bagni di Nerone”, deserto e con semaforo rosso. Da una parte la sospensione della conosciuta quotidianità e dall’altra l’incessante automazione del semaforo rigorosamente sul rosso quasi a richiamare la necessità di fermarsi a causa della pandemia piuttosto che per il consueto scopo relativo alla viabilità.

Riccardo Romeo 3 – 11 aprile 2020

Finestra di casa che si affaccia su via Santa Maria. Al pomeriggio essendo esposta ad ovest si riempie di luce. Il sole illumina le stanze e crea giochi di luci e ombre. Le due strisce di ombra che corrono parallele mi hanno fatto venire in mente quelle di una cella e in effetti il rinunciare alle uscite da casa durante il lockdown è stato una forte limitazione delle libertà individuali.

Riccardo Romeo 4 – 25 aprile 2020

Via Landi, Cisanello. Almeno una volta alla settimana per la spesa ci siamo recati al supermercato che si trova in questo quartiere. In una occasione tornando ho notato la scritta sul muro che esprimeva il sentito bisogno di libertà, responsabilmente represso e contenuto, a causa delle restrizioni.

Riccardo Romeo 5 – 26 aprile 2020

Domenica pomeriggio in piazza Martiri. Prima che una coppia di poliziotti, con modo gentili, venisse ad invitare le persone a non sostare sulle panchine e a ritornare alle proprie abitazioni con mia figlia siamo stati un poco al sole a giocare. In alcuni momenti i piccioni curiosi e affamati si sono avvicinati. Quando ho colto la mia ombra vicino ai pennuti, pur non essendo soli nella piazza, ho avuto un sentimento di solitudine che l’immagine vista e poi fotografata mi è parso raccontasse abbastanza bene.

Riccardo Romeo 6 – 5 maggio 2020

Il lockdown è terminato per gran parte dei cittadini il 4 maggio. Il giorno dopo in Piazza dei Miracoli con mia figlia di turisti non ce n’erano e solo qualche genitore con figlie e figli a giocare e a godere del bel sole primaverile. A un certo punto un signore con la mascherina si sofferma sul prato vicino al battistero e osserva la bellezza del monumento, l’azzurro del cielo o chissà cos’altro.



Sara Burchielli

Tutto quello che mi manca. Soprattutto le persone.
Doppie esposizioni con autoscatto con Olympus OM1, Kodak 400TX tirata a 800. Negativi scansionati. Scattate nel salotto di casa mia a Pisa.

1. Viaggiare e incontrare persone

2. Mangiare fuori insieme agli amici

3. Andare al mare

4. Andare lontano in bicicletta



Andrea Salatti

Titolo Reportage: NO-SHOES
Data: fine Aprile 2020
Luogo: Appartamento in Pisa Centro

Chiuso in una appartamento senza giardino nè terrazzo, con la sola presenza della mia compagna e dello smart-working, dopo due settimane di alternanza tra l’angoscia pensando al futuro e la tristezza ricordando il passato, ho iniziato a godermi per quanto possibile quel poco di buono che ci stà regalando questa situazione drammatica e globale. Ho iniziato a chiedermi se, veramente, la società di “prima” fosse la normalità.
Ho iniziato a riscoprire tante piccole cose che il mondo frenetico a cui eravamo abituati c’aveva fatto quasi dimenticare. Ho iniziato a stare a piedi nudi fino a dimenticarmi quanto fosse stressante scegliere le scarpe adatte ad ogni situazione. Parafrasando questo concetto e senza prendermi troppo sul serio, ho cercato di raccontare la riscoperta delle piccole gioie della vita in un passaggio epocale drammatico come quello che stiamo vivendo.

Totolo Foto 1: PRIGIONIA

Totolo Foto 2: ROUTINE

Totolo Foto 3: LAVORO

Totolo Foto 4: AMORE

Totolo Foto 5: RELAX

Totolo Foto 6: LIBERTA’



Tania Masi

Bloccata in San Marco

Quando la scuola è stata chiusa all’improvviso. E’ stato quello il momento in cui tutto è cambiato, per me. La mattina mi sono alzata, mi sono seduta sul divano fissando un punto imprecisato di fronte, e sono rimasta così per molto tempo. Non stavo male. Ad un certo punto mia figlia, di nuovo a casa con noi, dato che l’università di Torino era già chiusa da un paio di settimane, si è avvicinata gentilmente e mi ha detto “Sembri Totoro”. Poi ha aggiunto “Ma non puoi fare Totoro tutto il tempo. Lo puoi fare solo un’ora al giorno”. Io ho sorriso. Dopo qualche secondo. Un sorriso da Totoro.
Proprio ultimamente avevo desiderato con tutta me stessa di non dovermi più alzare al suono della sveglia, fare più presto possibile e correre a scuola in macchina, prima che la campanella suonasse. Il tempo. Il tempo che non perdona. Il tempo che non basta mai e che ti costringe a guidare come una scheggia impazzita mentre non sei ancora neanche tanto sveglia. Avevo fatto un incidente. Il giorno prima. Per fortuna senza contusi ma le macchine, la mia e quella dell’altra ragazza, che guidava anche lei piuttosto forte, avevano subito danni seri. La mia definitivi. Perciò da Marina ero tornata a Pisa con una collega e poi avevo preso il treno per Pontedera dove mio padre mi era venuto a prendere in macchina per portarmi a Peccioli dove avevo preso in prestito la macchina di sua moglie. Ero così stanca che non sono neanche entrata a ringraziarla di persona. Quando sono tornata a casa a Pisa era già buio. Il giorno dopo non c’era più bisogno della macchina.
Quello che è successo dopo lo sappiamo tutti. Con una velocità tale da impedire ogni possibile capacità di reazione siamo stati risucchiati in una specie di vortice al termine del quale ci siamo trovati in una realtà completamente trasformata. La sequenza dei giri di vite è stata rapida e inesorabile. Ogni giorno, o quasi, c’era qualcosa in più che non si poteva fare. Abbracciarsi, sedersi su una panchina in due, poi neanche da soli. Uscire dal proprio comune. Spostarsi per più di due chilometri. Spostarsi per più di duecento metri dalla propria abitazione. In modo del tutto inversamente proporzionale sono aumentati gli uomini in divisa di ogni tipo, gli elicotteri, i droni. Alla televisione la parola coronavirus ricorreva con una frequenza ossessiva. Mi sembrava di avere nelle orecchie il monologo di un paranoico. Per un po’ di tempo il mio atteggiamento rispetto al problema è oscillato tra lo scetticismo e la preoccupazione. Ad ogni modo ho adottato sin da subito il criterio di rispettare la regola del distanziamento fisico e della maggiore attenzione a lavarsi le mani (non toccarmi gli occhi è fuori dalla mia portata, a meno di indossare degli occhiali da sole, cosa che qualche volta ho pure fatto). Credo, spero, di avere reagito più con spirito critico e responsabilità che emotività e cieca obbedienza. Inoltre il mio atavico fatalismo da meridionale è immediatamente comparso proteggendomi da eccessi di ansia. I primi giorni sono stati comunque traumatici. Dopo lo shock della chiusura della scuola c’è stato il panico generale che in molti si è espresso nell’assalto ai supermercati. Entrare nel solito posto di sempre, come sempre verso sera e trovare gli scaffali svuotati, non poter comprare le patate, la pasta, perfino il sedano, era come vedere con gli occhi le tracce lasciate dall’onda di paura che si era propagata determinando nella gente una reazione irrazionale e vagamente minacciosa. Il commesso guardando la mia espressione, tra l’infastidito e lo smarrito ( perché tutto quanto il sedano? Che ci devono fare?) ha sdrammatizzato “Sì, hanno portato via tutto, ma non si preoccupi, domani mattina c’è tutto di nuovo”.
Poi, nel giro di pochi giorni, il nuovo ordine ha preso forma. La forma di una lunga fila diligente e composta per entrare a fare la spesa. Questa mi ha fatto un’impressione anche più forte dei ripiani svuotati. Sarà perché mi sono riaffiorati alla mente i racconti di mia nonna sulle file per ricevere il pane razionato durante la seconda guerra mondiale, fatto sta che la seconda volta che l’ho vista da lontano ho girato i tacchi e me ne sono tornata a casa senza comprare nulla. Sembrava di essere improvvisamente piombati in un’altra epoca. Solo che non era chiaro che epoca fosse. Un’epoca da futuro distopico, dove si insegna dal computer mentre fuori c’è una silenziosa guerra batteriologica; ma anche un’epoca del passato, senza macchine, aerei assordanti, con un’aria pulita come se fossimo in aperta campagna. E tutto questo durante una primavera di una bellezza struggente. Risparmiare tempo sembrava che non contasse più niente. Ce ne era sempre in abbondanza. Non sapevamo neanche per quanto sarebbe stato così, e in questa sospensione, l’ansia e la paura si mescolavano ad un senso di sollievo. Finalmente potevamo essere lenti. Perderci nei dettagli. Dare ad ogni cosa il suo tempo. Era, credo, un sentimento diffuso. E legato a questo c’era lo stupore per il fatto che fosse stato veramente possibile fermare un sistema di cui tutti ci sentivamo pedine impotenti. Lo si capiva da molti post che circolavano. Ad esempio dal numero di condivisioni della poesia di Mariangela Gualtieri: “Questo ti voglio dire/ci dovevamo fermare./Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti/ch’era troppo furioso/il nostro fare. Stare dentro le cose./Tutti fuori di noi./Agitare ogni ora – farla fruttare./Ci dovevamo fermare/e non ci riuscivamo./Andava fatto insieme”. Non voglio dire che fosse la pace dei sensi. Tutt’altro. Ed è ovvio che ognuno l’abbia vissuto in modo diverso. A me la cosa che è pesata di più, a parte l’ansia ingenerata dalla didattica a distanza, era l’idea che mi fosse impedito di vivere a contatto con la natura. Io, non l’ho ancora detto, abito in San Marco, tra l’aeroporto e la stazione e vicino alla superstrada. Un quartiere comodo per andare ovunque, da cui da tempo vorrei spostarmi, cosa che però non faccio mai perché alla fine è troppo comodo, anche perché si può andare in centro in bicicletta. Di certo però non un posto dove uno sogna di passare un’intera primavera, soprattutto in un appartamento di ottanta metri quadrati senza terrazzo. In realtà c’è un giardinetto pubblico a cui sono molto affezionata. E’ un luogo molto tranquillo e io ci vado spesso a leggere, su una collinetta sotto un susino. Quando hanno annunciato che avevano chiuso i parchi cittadini sono andata a controllare: il cancelletto era sempre aperto. E’ talmente piccolo e periferico, mi sono detta, che se lo saranno dimenticato. Ero sicura che se mi restava la possibilità di andare a sedermi lì al sole tutto “sarebbe andato bene”. Due giorni dopo l’ho trovato chiuso. In quel momento sono crollata. Il mio compagno, con delicatezza, mi ha proposto di provare ad andare ad un altro parco, che io avevo sempre ignorato, che non era stato chiuso perché si trova in mezzo a due file di case moderne e non è recintato. Ero molto titubante perché temevo di essere spiata e denunciata dai condomini affacciati dai loro terrazzi. Ma niente di questo è accaduto. Una volta sono andata su una delle belle panchine di marmo che ci sono e mi ci sono proprio sdraiata come una lucertola per ore a prendere il sole, e alla fine ho addirittura strappato dei fiori dalle aiuole e me li sono portati a casa per metterli in un vasetto. Dopo ho iniziato ad osservare tutto quello che di naturale potevo scovare intorno a casa. Il mio quartiere, senza aerei e senza traffico, rifioriva. Pieno di giardini, di corti, di orti, di alberi da frutto svelava un’anima nascosta che non avevo mai compreso. Da sola, in silenzio, a distanza da chi incrociavo, osservavo le gemme sugli alberi, i limoni e gli ortaggi e soprattutto i fiori, selvatici e coltivati che scovavo ormai dappertutto. Anche il vicinato è stato coinvolto nella mia riscoperta del quartiere. Molte vecchie conoscenze gradivano che mi fermassi a scambiare due chiacchiere, chi dal terrazzo, chi per strada come me. Una sera addirittura con due vicine ci siamo messe “a seggiola”, come ancora fanno le anziane di questo paese travestito da quartiere moderno. Poi c’è stata anche l’amica che mi ha fatto entrare nel suo giardino mentre lei non c’era. Era uno spazio minuscolo, chiuso tra muri alti. C’erano una palma e alcune piante di aloe e una rosa. A destra una bicicletta scassata e di fronte la cuccia a brandina di una gatta decrepita che si muoveva male a causa dell’artrosi e tossiva sempre come se avesse avuto il vizio di fumare ma che, dopo avermi osservata in silenzio, mi ha dedicato delle profonde occhiate d’intesa. Grazie all’intimità del nascondiglio ho potuto mettermi in pantaloncini e canottiera e prendere il sole su di una vecchia poltrona, con una sedia come poggiapiedi improvvisato, di una comodità che non dimenticherò mai. Erano le vacanze di Pasqua ed io avrei dovuto essere sul Mar Rosso. Pensandoci mi resi conto, o almeno ebbi l’impressione di non averne veramente bisogno. Avevo il cielo azzurro sulla testa e il sole che mi riscaldava la pelle. Avevo anche una vicina disposta a rischiare qualcosa per me. Non c’era niente che mi mancasse per essere felice.



Serenella Pegna

ERBARIO URBANO
tutte le fotografie sono state scattate sui marciapiedi del trapezio fra Via del Borghetto, Lungarno Buozzi e Via Ridolfi il 5 maggio, tarda mattinata, con cielo coperto
Con il 4 maggio è finita la ‘fase 1’ e tutti, come le lumache, abbiamo rimesso la testa fuori di casa; l’avevamo fatto anche nelle settimane precedenti, ma in modo ansioso e frettoloso, con la regola del cane, della spesa, dei 200 metri di aria. Ora, mascherati e inguantati, si poteva star fuori e guardare con calma, qualche negozio ha alzato la saracinesca e la strada ha cominciato a ripopolarsi. Tutto sembrava come lo avevamo lasciato quasi due mesi prima, salvo una vegetazione spontanea e piena di vita che aveva cambiato l’aspetto della strada. Non calpestati né asfissiati né strappati, gerani selvatici, oxalis, plantago, tarassaci, tante parietarie, tante ortiche, tanti muschi e qualche papavero, ma anche qualche fico e qualche cappero e molti altri erano esplosi. Avevano ridisegnato i margini delle pietre, uscivano dalle grate dei tombini e dalle fessure fra intonaci e marciapiedi. I giardinieri del Comune hanno finito di toglierle ieri, 21 maggio, ma fa già caldo ed è già un’altra stagione.




Giuseppe De Cicco

Del periodo di quarantena vi dico la mia. Abito a Corigliano Calabro, qui l’economia trainante è data dall’agricoltura che detta i tempi della societá ed i miei tempi. Tra un decreto e l’altro, le necessità della terra ci impongono di non fermarci, pare che poco sia cambiato da prima del tuttochiuso ma in realtà gli effetti della crisi li subiremo nei prossimi mesi, quando raccoglieremo i frutti del lavoro in campagna. (Giuseppe De Cicco 1 e 2)
A casa la percezione del Virus è diversa fra adulti e bambini. Loro, con mascherine e guanti, scimmiottano i nuovi guru della tv; io, fra storia delle epidemie e social media un po’ mi sono sentito condizionato. (Giuseppe De Cicco 3 e 4)
Nel mese di Aprile ricorre la tanto attesa festa patronale, qui al sud è folclore ed i cittadini espongono un drappo ai balconi, ammirando una gioiosa processione immaginaria. Le chiese, centro di ogni comunitá, pur non esercitando il culto sono aperte per chi, in difficoltà, è in attesa dei promessi aiuti di Stato. (Giuseppe De Cicco 5 e 6)